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  • Giacomo Ercolani

A scuola di adultità

Aggiornamento: 28 feb 2021

"La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, si burla dell’autorità e non ha alcun rispetto degli anziani. I bambini di oggi sono dei tiranni; non si alzano quando un vecchio entra in una stanza, rispondono male ai genitori. In una parola, sono cattivi."


Se pensate che queste siano parole prese da qualche talk show pomeridiano o dal post provocatorio di un cinquantenne reazionario sganciato su Facebook per alzare un po’ di flame verso il gesto indisponente di un ragazzino, ebbene vi sbagliate. Queste sono le parole che Socrate pronunciava nel lontano 470 a.C.; sono le parole che lo scrittore e pedagogista Franco Nembrini legge nel simpatico video “l’educazione è un casino da mo’” (in fondo il link) e con le quali suggerisce che i giovani, in realtà, sono arroganti e “pericolosi” da millenni.

Qualche giorno fa, con l’associazione Cronache Ribelli, siamo andati in una scuola media del centro Italia per svolgere un intervento di divulgazione e sensibilizzazione sul tema della schiavitù e della tratta degli schiavi; per farlo in modo diverso, come prevede la mission stessa dell’associazione.

Avremmo parlato del caso della nave Amistad, con il supporto di spezzoni del film di Spielberg e di tecniche di role playing (gioco di ruolo). In fase di preparazione ci siamo interrogati su diversi aspetti, relativi sia ai contenuti che al metodo: saranno concetti troppo difficili? Ci capiranno qualcosa? Sono piccoli, riusciranno a mettersi nei panni dei protagonisti della vicenda? Ma soprattutto gliene fregherà qualcosa? Sai, del resto questa è la generazione della messaggistica continua e della connessione permanente. Sai, questa è la generazione del selfie, di Instagram, Snapchat, della Trap, di ThisCrush, Fortnite, TikTok, e chi più ne ha scaricate più ne metta. Iniziamo i nostri interventi e i ragazzi seguono interessati, anche se con qualche fisiologico calo dell’attenzione di tanto in tanto. Oltre a seguire intervengono. Parlando di schiavitù tirano dentro fenomeni complessi come il lavoro in nero ed il caporalato. A dodici anni non riescono ad articolare una discussione sull’argomento ma prendiamo atto che tra di loro vi è una spiccata sensibilità e consapevolezza su concetti importanti come l’abuso di potere e lo sfruttamento. Come dice una loro insegnate: “qui ci sono belle intelligenze”. È vero.

E allora perché, spesso e volentieri, si danno per persi o spacciati?

Sì, è vero, ci sono tutte quelle strambe app e tendenze, che solo a sentirne il nome ti viene da autoeleggerti principe dei Matusalemmi. Tuttavia, è un mondo che siamo NOI a non conoscere, un mondo che ci confonde. E cosa accade quando nel nostro sistema di conoscenza c’è un buco di informazioni? Questo viene riempito da conoscenze già belle pronte e impacchettate, prese qua e là da amici, programmi televisivi e anche dal web, perché non ci sono ultime ore o aggiornamenti che siano in grado di sostituire la conoscenza diretta di qualcuno o qualcosa. Questi pacchetti di informazioni già pronti prendono il nome di stereotipi e pregiudizi. Il giovane, l’adolescente, è storicamente oggetto di pregiudizio, spesso feroce. Non sono istanze ideologiche o morali quelle che muovono questo atteggiamento acritico dell’adulto; in realtà, è in buona parte una questione di economia mentale e di scarso senso di responsabilità.

Quando non possediamo tutte le informazioni per effettuare una valutazione e prendere una decisione facciamo ricorso a “scorciatoie” mentali che ci consentono di giungere ad una conclusione, di esprimere un giudizio, senza correre il rischio di rimanere paralizzati nell’indecisione; queste scorciatoie vengono chiamate euristiche. Tali meccanismi mentali fanno economia delle nostre risorse cognitive, consentendoci di esprimere giudizi anche con poche informazioni, basandoci su dati acquisiti recentemente o ai quali siamo esposti di frequente, come ad esempio quelli appresi attraverso i mass media. Provate a pensare a quanto spesso sentiamo parlare di adolescenti che abusano di sostanze, di bullismo, di giovani NEET oppure dell’ultima frivola tendenza alla quale tutti i giovani sembrano andare dietro. Tutte queste notizie, per chi non ha un contatto diretto e continuativo con le nuove generazioni, possono divenire punti cardinali che orientano la bussola valutativa e decisionale. Qual è, dunque, la prima lezione da imparare se si vuole parlare ad un adolescente? Prendere consapevolezza dei pregiudizi che silenziosamente sono maturati nel corso degli anni dentro di noi. Ritenersi ingenuamente liberi da qualsiasi pregiudizio o condizionamento, infatti, può essere di grande ostacolo a una comunicazione genuina ed autentica; si rischia di assumere un atteggiamento falsamente paritario che, se va bene, si traduce in comportamenti paternalistici che si rivelano fortemente distanzianti, altrimenti diviene strumento relazionale con il quale l’adolescente forza le dinamiche di potere e di indipendenza (tensioni naturalmente presenti in lui) a suo vantaggio. I tipi di pregiudizi possono essere molto diversi, anche sulla base del momento storico che la società attraversa. Il “choosy“ che ci siamo beccati qualche tempo fa, ad esempio, può essere l’espressione particolare di sentimenti ed atteggiamenti più generali che le vecchie generazioni costantemente rinnovano nei confronti di quelle più giovani.

Cosa c’entra invece lo scarso senso di responsabilità dell’adulto? L’adolescente, per definizione, è freneticamente alla ricerca della propria identità; interroga se stesso, interroga i suoi pari, interroga gli adulti in modo dialettico e conflittuale e, a volte, arriva ad interrogare anche la morte, cercandola in attività che disintegrano e definiscono i suoi confini identitari. I mezzi e gli strumenti con i quali percorre questa strada sono quelli che la società gli ha messo a disposizione: non li ha inventati, li sfrutta. Noi tutti, insieme ai nostri genitori e ai nostri nonni, dobbiamo sentirci responsabili di tali mezzi. Di conseguenza, anziché rivolgere i nostri sguardi indignati verso le mode di oggi, probabilmente dovremmo domandarci se le strutture economiche e sociali che le hanno generate, in fondo, ci vanno davvero bene. Ne è valsa e ne vale la pena? Imparare a porsi questa domanda, che di fatto resta sempre aperta, è la seconda lezione da affrontare; vuol dire imparare a decentrarsi, permettendo, da una parte, una riflessione critica e potenzialmente generativa sulla realtà storica che viviamo e, dall’altra, un dialogo con i giovani improntato alla negoziazione e al riconoscimento dei bisogni.


In questo senso, le generazioni intermedie hanno un grande compito: i cosiddetti millennials, infatti, possono divenire interpreti e traduttori simultanei delle istanze delle generazioni che stanno attualmente crescendo. Tale compito appare ancora più importante se si considera che la decrescita demografica e l’allungamento dell’aspettativa di vita infarcirà a dismisura lo schieramento dei futuri anziani (i cosiddetti baby boomers), rischiando un conflitto generazionale impari, che potrebbe vedere i più giovani soccombere. Spetta a noi tutti, pertanto, decidere se mettere in discussione le nostre certezze ed imparare ad ascoltare ciò che non conosciamo, consentendo così un dialogo intergenerazionale franco e reciprocamente proficuo oppure trincerarci dietro barriere anagrafiche o falsamente ideologiche, rimarcando ancor di più uno squilibrio di maturità e potere che per natura già esiste e che dovrebbe probabilmente essere una leva per il cambiamento e la crescita anziché un muro invalicabile.

Franco Nembrini "L'educazione è un casino da mo'":

https://www.youtube.com/watch?v=Ur769677H9U

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